Su San Biagio - il cui nome latino,
Blasius, diventato un gentilizio in
età repubblicana, derivava dall'aggettivo
blaesus, balbuziente, a sua volta
derivato dal greco blaisos, storto -
sappiamo poco di certo perché i suoi
Atti, ossia la cronaca del martirio,
sono tardivi e leggendari. Fu probabilmente
vescovo di Sebaste in Armenia e fors'anche
medico prima della sua consacrazione
episcopale. Quanto al martirio, risalirebbe
al 316. Secondo la leggenda, durante la
persecuzione di Licinio in Oriente nel 314,
il vescovo di Sebaste fu costretto a
rifugiarsi in una grotta sul monte Argeo non
per timore della morte ma perché doveva
guidare, sia pur da lontano, i suoi fedeli in
quel difficilissimo periodo. Miracolosamente
gli uccelli insieme con altri animali gli
portavano cibo; e ogni sera si radunavano
davanti alla caverna aspettando la
benedizione. A volte capitava che qualche
bestia ferita o malata si recasse alla grotta
perché Biagio la guarisse col segno della
croce. L'anno seguente cominciarono a Sebaste
i preparativi per festeggiare il quinto anno
di regno dell'imperatore Licinio. Era la fine
di gennaio del 315: poiché occorrevano fiere
per le feste negli anfiteatri, s'inviarono
cacciatori al monte Argeo con funi, gabbie e
altri arnesi per catturarle. Un gruppo capitò
per caso davanti alla grotta assistendo a uno
spettacolo inconsueto: invece di azzuffarsi,
quelle bestie stavano pacificamente ad
aspettare che san Biagio le benedicesse.
Sconvolti dalla scena, corsero dal prefetto
Agricolao raccontando tutto per filo e per
segno; e lui ordinò di catturare
immediatamente il vescovo. Quando il giorno
seguente, di buon mattino, i pretoriani
giunsero alla grotta, Biagio comprese che era
giunta l'ora del martirio e li seguì
docilmente. Mentre stava scendendo a Sebaste,
una donna gli portò il figlioletto che stava
soffocando per una lisca conficcata in gola:
la sua benedizione fu miracolosa. Da
quell'episodio è nato il patronato sulla
gola. Ma il santo è diventato anche il
protettore contro altre malattie perché, come
narra la leggenda, in punto di morte pregò il
Signore di concedere la salute a chiunque lo
invocasse per un'infermità; e una voce dal
cielo gli rispose che era stato esaudito. Per
questo motivo nel giorno della sua festa il
sacerdote tocca la gola dei fedeli con
l'imposizione di due candele incrociate che
sono state benedette alla vigilia, alla
Candelora. A Monte San Biagio invece, una
cittadina laziale in provincia di Latina, la
sera del 2 febbraio, davanti all'altar
maggiore della chiesa parrocchiale di San
Giovanni Battista, non si benedicono le
candele ma dell'olio di oliva, con cui si
ungono le gole nel giorno della festa; e con
l'olio d'oliva si benedicono anche le
dita, un pane tipico fatto a forma
di dita. L'usanza di distribuire pani
benedetti si ritrova in molte cittadine
italiane dove vengono modellati in modo da
assumere la forma delle parti malate. Anche a
Roma questa usanza sopravvive nella chiesa di
San Biagio alla Pagnotta, officiata dagli
Armeni, mentre a Milano si mangia una fetta
di panettone conservata appositamente dal
giorno di Natale. A Castel di Sasso, in
provincia di Caserta, il parroco unge invece
la gola con una penna di gallina immersa
nell'olio benedetto. Proseguendo il viaggio
verso Sebaste san Biagio incontrò una donna
disperata perché un lupo feroce le aveva
sottratto l'unico maiale. “Donna, non ti
affliggere,” rispose il santo alla sua
richiesta di aiuto “lo riavrai presto.” E
subito arrivò il lupo restituendo docilmente
il maiale. Questo episodio, rappresentato da
vari pittori fra cui Sano di Pietro (XV
secolo) in un pannello di predella ora alla
Pinacoteca di Siena, ha ispirato o meglio
giustificato, insieme con la leggenda delle
bestie che aspettavano la benedizione
all'entrata della grotta, il suo patronato
sugli animali. In realtà questo patronato,
non diversamente da quello sugli agricoltori,
come si è già accennato, riflette riti
precristiani di purificazione dei campi e del
bestiame durante l'inverno, come ad esempio
le Feriae Sementinae. Ancora oggi a
San Piero sopra Patti, in Sicilia, si mette
al bestiame un laccio che è stato
precedentemente passato sul collo della
statua del vescovo armeno. Anche per un altro
patronato, quello sui fidanzati, si può
intuire, pur confusamente, l'eco di riti per
propiziare la fertilità, come i
lupercalia romani. Finalmente il
corteo con il prigioniero entrò a Sebaste.
Quando san Biagio vide nel Foro le statue
degli dei le fulminò con lo sguardo facendole
crollare: quel gesto fu più eloquente di
tante parole. Dopo qualche giorno di carcere
il prefetto lo fece condurre in catene fino
al suo palazzo e, siccome il vescovo si
rifiutava di sacrificare agli dei, ordinò di
torturarlo con la fustigazione a una colonna:
ma non ci fa verso di farlo abiurare. Anche
il secondo interrogatorio non servì a nulla
nonostante l'orrenda tortura: i carnefici lo
adagiarono sull'eculeo slogandogli braccia e
gambe; poi lo straziarono con pettini di
ferro. A quell'episodio si sono ispirati
molti pittori che lo hanno raffigurato con il
pastorale in una mano e il pettine di ferro
nell'altra. Curiosamente cardatori e
tessitori lo hanno assunto come loro patrono
per la somiglianza dei loro strumenti con i
pettini e gli uncini di ferro usati nel
martirio. Per completare l'opera, narrano gli
Atti, Biagio venne rinchiuso in una
corazza rovente e poi rigettato in carcere.
Fra la gente che assisteva alla tortura vi
erano anche sette pie donne che avevano
inzuppato panni e fazzoletti nel sangue
rimasto sul patibolo, considerandolo un
sangue santo. Poi si erano accodate al corteo
che riconduceva Biagio in carcere, cercando
di lenire le sue ferite con panni imbevuti di
balsami; ma i pretoriani se ne accorsero e le
condussero dal prefetto accusandole di essere
cristiane. Agricolao, vedendo che
appartenevano a nobili famiglie, tentò di
blandirle perché desistessero dal loro
comportamento contrario alla religione
romana. Ma non ottenne se non una beffa: le
sette donne gli promisero di adorare gli dei
se egli avesse fatto condurre i simulacri in
riva al lago Vlan. Quando i sacchi che
contenevano le statue furono giunti sulla
riva del lago, le sette terribili donne li
gettarono nell'acqua. Vennero dapprima
torturate nude sull'eculeo, poi scarnificate,
abbrustolite su sedie arroventate, gettate
nelle fiamme. Ma miracolosamente
sopravvivevano per mostrare la potenza della
loro fede. Infine, giunta l'ora della morte,
vennero decapitate alla presenza di due
giovinetti che erano stati battezzati e
cresimati precedentemente da san Biagio. Uno
di loro era figlio di una pia donna che
disse: “Addio, figlioli carissimi, noi
andiamo prima di voi, e voi verrete nel cielo
dopo di noi, dove staremo sempre uniti per
non separarci mai più”. La fantasia popolare
trasformò le sette pie donne in sette sorelle
di san Biagio morte, chissà perché, per il
mal di gola nonostante il portentoso
fratello. Anche per il vescovo di Sebaste era
giunto l'ultimo atto. Dopo un terzo
interrogatorio il prefetto ordinò che fosse
gettato in uno stagno con un sasso legato al
collo. Il sasso calò nell'acqua mentre il
santo risaliva alla superficie e camminava
sulle acque. E fra lo stupore dei presenti si
udì la sua voce sfidare i pagani: “Se volete
dimostrarmi che i vostri dei sono potenti
entrate in questo stagno e camminerete pure
voi sopra le onde”. Ottanta uomini
accettarono la prova annegando. Allora un
angelo del Signore, illuminandolo con una
luce intensa dal cielo, gli disse: “Ora va' a
ricevere la corona che Iddio ti ha
preparato”. Così avvenne: san Biagio tornò a
riva e il giorno seguente, di buon mattino,
fu decapitato insieme con i due giovinetti.
Era, secondo la tradizione, il 3 febbraio del
316, giorno che è diventato la sua festa
liturgica. Il corpo di S. Biagio fu sepolto
nella cattedrale di Sebaste, ma nel 732 una
parte dei resti mortali venne imbarcata da
alcuni cristiani armeni alla volta di Roma.
Un'improvvisa tempesta tronca però il loro
viaggio a Maratea (Potenza). Qui i fedeli
accolgono le reliquie del santo in una
chiesetta, che poi diventerà l'attuale
basilica, sull'altura detta ora Monte San
Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la
grande statua del Redentore, alta 21 metri.
S. Biagio è il Santo Patrono delle seguenti
città : Acate (RG), Acquafredda (BS), Alanno
(PE), Albiano (TN), Alleghe (BL), Alonte
(VI), Anguillara Sabazia (RM), Atena Lucana
(SA), Avetrana (TA), Bieno (TN),
Bronte (CT), Calalzo di
Cadore (BL), Caronia (ME), Carosino (TA),
Casale (MN), Cassano allo Jonio (CS),
Castelbelforte (MN), Cavriana (MN), Ceresara
(MN), Comiso (RG), Corsano (LE), Lago (TV),
Maratea (PZ), Militello Rosmarino (ME),
Ostuni (BR), Pietrasanta (LU), Piombino Dese
(PD), Ruvo di Puglia (BA), S. Bartolomeo di
Vallecalda (GE), S. Biagio di Bagnolo S. Vito
(MN), S. Piero Patti (ME), Serra S. Bruno
(CZ), Spezzano della Sila (CS), Suzzara (MN),
Torano Castello (CS), Venaus (TO).
|